’Ndranghetown: il ponte sul futuro
’Ndranghetown: il ponte sul futuro
di Tiziana Selvaggi

21/05/2011 - Nella cosmologia induista si chiama Kalpa, un termine sanscrito che indica un ciclo cosmico. E forse è davvero così che è fatto il tempo: una sorta di spirale, un ricamo, con una parabola ascendente a rappresentare l’evoluzione che vede uomini e società crescere fino all’apice, poi quando il punto massimo è stato toccato decade e il tempo si chiude su se stesso, allora, contro la volontà degli uomini, accade l’irreparabile, l’evento che spazza tutto, che ripulisce tutto, che consente di ripartire.
È quest’ultimo frammento lo spazio vitale di ’Ndranghetown, il libro della giornalista Paola Bottero, pubblicato nella collana “Noir di rivolta” dalla casa editrice Agenzia X.
Il tempo è fermo in un paradosso anacronistico. Siamo alla vigilia del 28 dicembre 2108 il ponte sullo stretto è stato costruito, unendo ciò che non doveva essere unito, portando vantaggi a qualcuno e nascondendo ciò che non vorrebbe e non dovrebbe mai rimanere nascosto. In questo futuro vive il piccolo Silvio: il figlio senza innocenza della criminalità, “L’Onorata Società delle Due Sponde”, così organizzata da diventare potere economico e politico mondiale, figlio di un futuro che risuona drammaticamente presente.
Silvio è il supremo, il futuro, il destino, l’espressione disumana di quella società che forse si è anche posta delle domande, rinunciando però alle risposte in cambio della rassegnazione, eppure in qualche modo appare anche come l’espressione di una logica deviata che si chiede «che senso ha questo ponte, a chi serve ancora, visto che noi siamo intrappolati qui».
È come un prisma questo libro dove tra le mille rifrazioni che raccontano il futuro ormai inarrestabile riverbera un presente che forse può ancora essere cambiato. Ed è proprio questo il gioco più bello che l’autrice ha messo in atto, non solo quello di immaginare e raccontare il “come sarebbe” ma lasciare intuire che quel futuro così poco rassicurante lo si sta costruendo ora, qualcuno lo sta costruendo ora. È per questo che del ponte viene raccontata la sua duplice natura. Il ponte sullo stretto di Messina è simbolo del potere arrogante della criminalità, della spregiudicatezza della politica , ma è anche una trappola che sprigiona fantasmi, capaci di dare con la loro morte un tragico senso a quel «gioco di azzurri, fatti di aria, travi e tiranti d’acciaio». Una tomba che uccide: per fatalità, per essere «monito ed esempio», per «recidere un fiore e versare il sangue dell’onore». Un agglomerato d’acciaio di nessuna utilità ma che respira e si lamenta con la voce delle ombre.
È il migliore dei futuri possibili quello descritto dalla Bottero, solo che in questa affermazione non c’è traccia di ottimismo, troppo simile al presente, troppo uguale nell’indifferenza, nell’arroganza, nella violenza; è un futuro facilitato, indottrinato e schematizzato, che però ha perso la capacità di regalare sapori, odori, colori; ma che soprattutto ha commesso l’errore più grave, quello che fa la differenza tra l’umano e l’inumano, quello di non riuscire ad imparare dai propri errori; è questo il vero paradosso che la scrittrice presenta quello di una società che resta intrappolata nei suoi errori incapace di riconoscerli. E così verso un epilogo che non possono né immaginare né controllare si muovono i personaggi, attendendo ignari l’evento che fermerà il tempo per farlo ripartire, che scioglierà i paradossi.
Commenti degli utenti
Nessun commento rilasciato.