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Redazionale


di Tiziana Selvaggi
17/03/2011 - È il 28 dicembre 1908, un lunedì, sono le 5,21 del mattino, il Natale è trascorso da pochi giorni, nella piena oscurità dell’alba, con gli abitanti in parte immersi nel sonno, un terremoto, che supera il decimo grado della scala Mercalli, seguito da un tremendo maremoto, devasta le coste calabro-sicule con numerose scosse. Messina, subendo il crollo di circa il 90% degli edifici, viene sostanzialmente rasa al suolo. Gravissimi sono i danni riportati da Reggio Calabria e da numerosi altri centri abitati del circondario, calabresi e siciliani. Le vie di comunicazione stradali e ferroviarie nonché le linee telegrafiche e telefoniche rimangono interrotte per giorni. L’illuminazione stradale e quella cittadina vengono di colpo a mancare a Messina, Reggio, Villa San Giovanni e Palmi, a causa dei guasti che si producono nei cavi dell’energia elettrica e della rottura dei tubi del gas, un’intera area geografica precipita nel buio, nella disperazione, nella devastazione, nella tragedia.
Circa 57.000 i morti soltanto a Messina, a Reggio Calabria si contano approssimativamente 15.000 vittime del sisma e numerose sono le perdite nei paesi del circondario.
Quella stessa mattina, verso le otto, alcune navi della Regia marina italiana cercano di aprirsi un varco tra i rottami del porto per tentare di portare aiuto, conforto, per provare a coprire con la pietà degli uomini l’orrore.
Questo è quanto successe il 28 dicembre del 1908 nell’area dello Stretto, eventi noti praticamente a tutti, una cronaca ormai entrata nella storia.
Ma chi ha ascoltato le voci che si levarono in quel giorno? Chi ha udito di cosa parlavano? Chi può immaginare quali volti e quali anime si muovevano e morirono in quell’inferno?
A provare a ricostruire la “vita” che ebbe termine in quella fatale giornata è stato il trentottenne Domenico Loddo con un testo dal titolo [28 dicembre 1908] {frammenti tellurici}(monologo per due voci e una solitudine) (Città del sole edizioni, pp. 142, € 10,00).
L’autore, che si è già messo alla prova con fumetti, cortometraggi e romanzi, con questo libro affronta il genere del testo teatrale, e lo fa in modo un po’ particolare; sulla scena soltanto un uomo e una donna e poi frammenti, i frammenti tellurici del titolo fatti di immagini, di oggetti, di parole, di canti, di pianti, di brani di cronaca, fatti dall’elenco delle vittime.
I frammenti, i pezzi, le briciole rimaste dopo una catastrofe che ha spazzato via il presente e ha spaventato il futuro.
Il testo comincia con una dichiarazione d’intenti, «questo scritto non è romanzo, non è nemmeno racconto, rifugge perfino dall’essere poesia.
Questo scritto, a volerlo a forza definire, è un puro esercizio per la memoria». L’esercizio parte dal pomeriggio del 27 gennaio e segue passo passo la storia di Reggio Calabria, dalla quiete che precede la tragedia fino al giorno che devastò lo Stretto; sul palcoscenico si muovono due anime, voci e fantasmi che si raccontano, e alla fine una domanda, quella di chi non può capire tanto dolore.
«Ditemi, o stelle, se voi sapete cosa sta succedendo all’universo.
È forse questa accorsa qui oggi l’inaudita ira divina oppure è soltanto una congiura della terra per castigare l’uomo?» (Hafiz Ibraim).
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