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Redazionale


di Daniela Pellicanò
11/01/2008 - “Gli imprenditori estorti sfilano a Confindustria. Salerno (presidente Confindustria Palermo, ndr): “il muro dell’omertà si è rotto”. “In campo Camera di commercio e Confartigianato. Sostegno gratuito a chi vuole ribellarsi”. “Collaborazione “protetta” per i commercianti antiracket”. Questi i titoli dei pezzi sull’edizione palermitana de la Repubblica dell’8 gennaio 2008.
È da un paio di mesi che in Sicilia tira un’aria diversa, non si può certo parlare di rivoluzione ma di voglia di cambiamentomagari sì. C’è aria di mobilitazione, un’aria che pian piano in molti cominciano a voler respirare. Questo in Sicilia. Non può dirsi altrettanto in Calabria.
Nei giorni scorsi Damiano Bonfà ha annunciato la sua “fuga” in Canada. Tutto è cominciato nel ’92 e adesso, dopo l’ennesimo attentato, non ce la fa più. È costretto a scappare. Da Bianco a Toronto. Un viaggio senza ritorno. Tutti sanno che questo è solo uno dei tantissimi casi che si verificano in Calabria, come testimonia la lettera che riportiamo di seguito. Una lettera di denuncia e di scoramento. Ma prima di leggerla è necessario aprire una parentesi. Questo muro, invalicabile, non sbarra solo la strada degli imprenditori e dei commercianti onesti. No. Tempo fa abbiamo pubblicato la lettera della moglie di un maresciallo dei carabinieri. Anche lei costretta a denunciare l’ingiustizia subita dal marito. Il maresciallo voleva fare il proprio lavoro. Indagare. E per questo è stato estromesso dalle indagini. Episodio inquietante così come è inquietante la lettera che segue:
“La mafia mi ha procurato un danno che supera un milione e mezzo di euro, non ho più un lavoro perché la mia attività è quasi paralizzata, e forse non avrò più una casa perché lo Stato deciderà di venderla all’asta. La mia colpa: non aver potuto pagare le tasse degli ultimi anni. La mia famiglia vive come me, da anni, in continua tensione, siamo sopraffatti, stressati psicologicamente.
Ed io purtroppo non ho più l’età per poter ripartire…
Ho deciso di fare l’imprenditore trenta anni fa e senza piegarmi al potere della ‘ndrangheta, ma oggi con amarezza devo ammettere che era solo un’utopia. Perché non è facile dire di ‘no’alle pretese di chi vuole vivere da parassita e da delinquente. E’ difficile non piegarsi quando il tuo esattore è nato e cresciuto dove vivi tu, ha giocato negli stessi luoghi, camminato sulle stesse strade, e adesso ti fa intorno terra bruciata. Sono rimasto solo perché a parte alcuni parenti che hanno capito e deciso di aiutarmi, tutti gli altri, i cosiddetti clienti “di rispetto” mi hanno abbandonato e i conoscenti, e gli amici di una vita, se possono evitano pure di salutarmi.
E tutto questo “soltanto” perché ho osato denunciare e chiedere giustizia. Tutto questo “soltanto” perché vorrei lo Stato dalla mia parte.
La mafia mi ha tolto tutto. Sono quindici anni che denuncio soprusi, furti, minacce e attentati, ma adesso basta, voglio gridare contro uno Stato che con le proprie leggi promette di aiutare chi è stato vittima della malavita, uno Stato che si nasconde dietro la burocrazia e il formalismo, mentre assiste alla morte degli imprenditori onesti, anche quelli che si costituiscono Parte Civile nei processi di mafia. Grido perché non posso accettare di vedere chiusa la mia attività, grido perché le istituzioni non possono privarmi della casa. Se non ho potuto pagare le tasse è perchè la malavita ha deciso di distrugge la mia azienda.
Dal Comitato Provinciale per la sicurezza pubblica sono stato definito “Obiettivo Sensibile”. Bene. Grazie. Questo è utile per la sicurezza mia e della mia famiglia, ma non è sufficiente! Chiedo che si intervenga con la legge 44/99. Questa legge prevede l’aiuto economico a chi ha avuto un’azienda distrutta, a chi viene interdetto e cacciato dalle banche, a chi ha perso la speranza di essere servito dai fornitori perché il proprio negozio viene definito a rischio, a chi è disperato, ma deve comunque continuare a resistere in questo estremo Sud dove è diventato un sogno non vivere tranquillamente, ma vivere.
Spero di non dover arrivare alla denuncia pubblica per non dover sentire l’ammissione da parte delle Istituzioni di essere arrivate, ancora una volta, troppo tardi.
Pensare che aver scelto di stare dall’altra parte non sia servito a niente mi fa paura. Ho paura di non aver saputo trasmettere ai miei figli che ribellarsi alle angherie significa vincere, ho paura di non aver saputo dimostrare che opporsi al ricatto della mafia serve ed è una prova di coraggio da imitare. Ho bisogno di aiuto concreto da parte dello Stato, perché non voglio smettere di credere che lo Stato esiste!
Nella nostra città sono tanti i commercianti che vorrebbero dire basta, ma sopportano perché hanno il terrore di denunciare. Hanno paura di rimanere isolati. Hanno paura che la mia storia possa essere vissuta da ognuno di loro, ma soprattutto hanno paura di vedere, nonostante le denunce, gli esattori della mazzetta passeggiare davanti alle loro vetrine, provano rabbia e sdegno nel vedere girare indisturbato chi qualche mese prima ha bruciato il loro negozio.
Eppure i politici non fanno che parlare di certezza della pena.
E ti invitano: denuncia il racket, ti conviene!
Ebbene, sulla mia pelle ho scoperto che queste sono e rimangono parole vuote.
Le parole non possono ridarmi tutto ciò che ho perso. Ho bisogno di fatti.
Ho bisogno e al più presto di un aiuto concreto.
Lettera firmata
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