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Redazionale


di Elisabetta Viti
07/12/2007 - Con Il vento fa il suo giro si è chiuso il miniciclo che il “Circolo del Cinema Cesare Zavattini” dedica ogni anno al cinema italiano indipendente.
E’ uno spazio nato dalla consapevolezza delle enormi difficoltà che gli autori non-commerciali hanno ad affermarsi. Consapevolezza acuita da una certezza: i film- tormentone di Natale stanno per tornare. Con buona pace dei colleghi meno famosi condannati ad “esordire” a vita. Ce ne aveva già parlato Vittorio Moroni, il regista de Le ferie di Licu, ospite della stessa rassegna: "La difficile sfida di film in film è sempre la stessa: smentire gli esercenti o i programmatori delle sale che puntualmente ti dicono: “ un piccolo film italiano non avrà un pubblico”.
Anche il vento fa il suo giro, opera prima di Giorgio Diritti, ha fatto faticosamente spola tra una sala e l’altra in Italia, mentre all’estero è stato oggetto di numerosi premi e riconoscimenti, da Lisbona a Londra e ancora Mosca, San Francisco, NewYork.
Il film affronta il tema del confronto/scontro tra culture attraverso quello tra Natura, nella sua immagine incontaminata e un po’ ideale che solo piccole comunità come quella occitana di Chersogno, protagonista del film, sembrano ancora in grado di preservare, e civiltà della tecnica. La minaccia più forte al mondo della natura come bellezza inviolata e valore assoluto viene ancora, come per Pasolini, da quel mondo tecnologicamente evoluto ma culturalmente povero, in termini di riferimento ai valori propri di una società preindustriale e contadina, che il poeta friulano definiva di “sviluppo senza progresso”.
Già il titolo allude a ciò che sembra essere la differenza più forte tra questi due mondi: il giro del vento richiama infatti l’idea di una natura ciclica e la periodicità e regolarità delle sue stagioni.
Niente di più distante dalla società capitalistico-industriale, il cui tempo e stile di vita è assimilabile non già alla circolarità dei ritmi naturali, dove tutto torna eternamente uguale a se stesso e il nemico numero uno è il cambiamento, ma all’immagine di una linea retta, simbolo di continua accelerazione, tensione costante verso il nuovo e superamento definitivo di un passato condannato a restare indietro, dove il principale antagonista è l’immobilismo.
Cosa succede se nel mondo della natura, in cui identità e ripetizione sono valori condivisi e disvalore il mutamento, si introduce un elemento di novità? Il film sviluppa questa ipotesi attraverso l’esperienza di un ex professore parigino che decide di trasferirsi in Val Maira per fare il pastore suscitando le diffidenze dei suoi abitanti.
Per questa via, l’opera di Diritti ci racconta delle difficoltà che sempre incontra lo straniero ad essere accettato persino all’interno di una comunità che, sebbene a sua volta portatrice, come in questo caso, di un differenza etnica o linguistica, non si dimostra capace di tolleranza quando le si dia l’occasione storica di dimostrarlo. E forse la tolleranza, se ci fosse, sarebbe ancora insufficiente e ambigua, perché contiene un presupposto di disparità.
Profetiche in tal senso le parole che il pastore-filosofo rivolge all’unico amico trovato a Chersogno: “A me la parola tolleranza non piace. Se tu devi tollerare qualcuno, non c’è il senso di uguaglianza”.
Ben riuscita la scelta di attori non professionisti, in primis gli abitanti della Val Maira che hanno collaborato alla produzione del film mettendo materialmente a disposizione animali, mezzi, oggetti di scena, ambienti. Ma anche gli attori professionisti lo sono solo in parte, se Thierry Toscan è presente nel cinema soprattutto come scenografo e Alessandra Agosti è una giovane pianista al suo primo ruolo da protagonista.
Giorgio Diritti ha già collaborato a diverse produzioni interessanti legate per lo più ad “Ipotesi Cinema”, l’istituto per la formazione di giovani autori coordinato da Ermanno Olmi.
L’opera è stata recentemente alla Festa del Cinema di Roma, suscitando meritati apprezzamenti. Nel giro del vento tutto torna sempre uguale a se stesso, dice il finale del film. E tuttavia, ogni tanto, in quel paesaggio immobile a cui sempre più somiglia la realtà italiana della cinematografia, qualcosa ancora accenna a mutare…
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