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Redazionale


di Enrica Tancioni
13/11/2007 - Calciopoli, l’emblema del calcio malato. Il simbolo delle partite truccate e dei “favori” arbitrali. Il calcio è malato. E la causa è un uomo: Luciano Moggi. Paga per tutti. Paga per le numerose attività illegali del calcio italiano. E si grida allo scandalo.
Ormai i passaporti falsi, il doping, le sviste degli arbitri sono all’ordine del giorno. Come le accuse di falso in bilancio, che colpiscono molte squadre di calcio. Il Cosenza Calcio per esempio. Peccato che il presidente del team sportivo: Paolo Fabiano Pagliuso sia stato accusato anche di associazione a delinquere ed estorsione aggravata. Tutto ha inizio nei primi mesi del 2001. La squadra ha la necessità di cambiare. Per questo motivo si pensa di aggiungere un nuovo socio: Settimo Lorè. In poco tempo il nuovo arrivato riesce a rilevare il 50% delle quote della società. Ma a causa di incomprensioni e intimidazioni a giugno dello stesso anno decide di lasciare l’attività. Ha forse intravisto problemi. Secondo le indagini dei carabinieri di Cosenza, la ‘ndrangheta avrebbe deciso di investire nel calcio. L’entrata di capitali freschi, quelli di Lorè, avrebbero portato giovamento non tanto alla squadra, quanto alle tasche delle ‘ndrine. La vicenda si conclude dopo nove mesi. Il patron del Cosenza Calcio è pulito. Può tornare a essere un uomo libero. Ma tra i tifosi si aggira mancanza di fiducia…
Nonostante tutto il pericolo di infiltrazione è alto. Perché nel mondo del pallone girano soldi, tanti soldi e c’è sempre bisogno di riciclare in modo “onesto” i proventi delle attività illegali. In fondo il controllo dell’ingresso dello stadio e dei parcheggi non bastano. Si può ottenere molto di più. Allora si investe nel calcio. Magari controllando la squadra. Il mafioso può giocare i suoi 90 minuti, oppure può verificare dagli spalti l’andamento della partita. Non è necessario che si faccia vedere.
L’importante è esserci. Con ogni mezzo. Così il calcio calabrese, anche quello puro, quello della prima categoria, apre le proprie porte alla criminalità.
Lo grida ad alta voce anche don Pino Masi, il prete della legalità. “Molti presidenti di squadre sono mafiosi o mettono i loro uomini di fiducia a dirigerle, prima o poi tanti ragazzi finiranno così al servizio delle cosche”. Dichiara il parroco di Polistena al giornalista Attilio Bolzoni (La Repubblica, 14 novembre 2005).
Eppure nessuno sa niente. Le società calcistiche in Calabria sono poco più di 530. Ma vige il mistero più assoluto. Sulle partite truccate, sulle minacce e sulla presenza di boss nei campi da gioco. Il Guardavalle annovera come ex-dirigente un ‘ndranghetista doc: Cosmo Leotta. È lui che decide, anzi decideva le entrate nella cosca. Adesso è stato arrestato. È sfuggito alle autorità per soli cinque mesi. Che dire del centravanti del Guardavalle? Quel Paolo Riitano dal potente sinistro? Come non dimenticare il dirigente della Nuova Melito, Antonio Toscano? Scomparso. Forse di lupara bianca.
Oppure “Luni” Mancuso, il capo della ‘ndrangheta lametina. Quella che conta.
Comandare, dentro e fuori il campo, non basta. Allora gli ‘ndranghetisti chiedono e ottengono manifestazioni e minuti di silenzio per i propri compagni. Morti in battaglia. È il 1995 e i boss di Reggio Calabria annunciano il “Memorial Fortunato Maurizio Audino”. Peccato che il signor in questione sia stato un ottimo trafficante di droga. È saltato in aria con la propria auto. La sua morte è ancora avvolta nel mistero.Muore mentre trasporta una bomba, o in un attentato?
Mentre a Reggio si organizzano manifestazioni, a Isola Capo Rizzato (Kr) si “regala” un minuto di silenzio. È morto il cugino del presidente di Isola. Bisogna commemorarlo. L’arbitro Paolo Zimmaro autorizza il lutto. Il giovane studente non sa che quel Pasqualino Arena, parente del dirigente, era un mafioso. Un ‘ndranghetista con la N maiuscola. Zimmaro viene allora sospeso.
Nel 1997 invece si ricorda la memoria di un boss. È Cosimo Cordì, parente del difensore Livraghi e del centrocampista Romeo. Entrambi giocano nel Locri. Tuttavia quel giorno non sono neanche in panchina.
Nel ’99 la situazione si fa più intricata. In occasione della partita Locri-Crotone vengono incendiate tre auto. Sono le macchine di tre giocatori del Locri. Sono colpevoli di aver giocato troppo bene. Così D’Angelo, Giglio e Caridi pagano. E nel peggiore dei modi. Hanno intralciato i piani di chi avrebbe voluto “taroccare” quella partita. Locri-Crotone finisce infatti in parità. Grazie a quel risultato il Crotone sale in C2. Non è un caso che tutti i giocatori del Locri abbiano giocato male, tanto da ricevere i fischi del pubblico. Tranne i tre. Come dimostrano le indagini della Magistratura.
Tuttavia se i boss non entrano nelle società, entrano negli affari. Un esempio è la vicenda che ha coinvolto anche il Catanzaro Calcio. Il 28 febbraio 2006 la polizia ordina il fermo per 40 affiliati della cosca Gaglianisi. Sono accusati di traffico di armi e stupefacenti, usura ed estorsioni. Sembra che i Gaglianisi offrissero con la forza la vigilanza dello stadio. Ormai lo sappiamo tutti. La sicurezza costa!
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