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rassegna stampa calabrese
Provincia: Reggio Calabria
Comune: Rosarno
Argomento: Cronaca
I dannati di Rosarno
A metà degli anni Trenta Cesare Pavese, confinato in Calabria dal fascismo, ebbe a scrivere: «La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione:qui, una volta, la civiltà era greca». Settant’anni dopo molto è cambiato. In peggio. La Calabria si è nel tempo trasformata in terra di rifiuti, ricettacolo di scarti. Rifiuti materiali dei processi di produzione e consumo, le scorie industriali. Rifiuti umani generati dai processi storici, i migranti. Tutto nell’indifferenza della politica, dei media e della sedicente società civile.
A 50 chilometri da Brancaleone Calabro, il borgo ionico narrato da Pavese, c’è Rosarno, paesone di 15 mila anime nella Piana di Gioia Tauro.
Qui, in pochi chilometri quadrati, è possibile, senza sforzo, ravvisare le maggiori contraddizioni della nostra epoca: le grandi migrazioni, la globalizzazione che distrugge le produzioni agricole locali, la criminalità organizzata transnazionale, la corruzione della politica, la diffusione della cultura della violenza, le disumanizzanti leggi sull’immigrazione, lo sfruttamento bieco dei lavoratori.
Il teatro di questo inferno che fa spavento è l’ex Cartiera di via Spinoza. Il capannone di una fabbrica dismessa è diventato col passare del tempo ricovero di centinaia di migranti, lavoratori stagionali, nei campi di Rosarno e dintorni, che vivono in condizioni di vera e propria schiavitù.
Un girone dei dannati, fatto di baracche di assi di legno inchiodate, pareti di cartone e plastica, fissate da scarpe,sassi e stivali. E, poi, cumuli di terra, rifiuti, detriti, eternit. E,immancabili, i fuochi per cucinare. Il sole entra dai lucernai e illumina di luce color giallo ocra le baracche di cartone. L’odore è nauseabondo. Sembra Korogocho a Lagos o Rafinha a Rio. Siamo in Calabria, Italia.
Rosarno è una delle più antiche città della Calabria. Nello stesso sito, dove oggi è ubicata, sorse Medma dal cui porto partivano le merci dirette verso Atene e Corinto da cui provenivano mercanzie di notevole valore. Oggi Rosarno importa schiavi, assoggettati alla violenza e al dominio della ‘ndrangheta.
Qui comanda la ‘ndrina dei Pesce-Bellocco, talmente potente e infiltrata nei gangli sociali da aver installato l’impianto di condizionamento della Chiesa Matrice. La ‘ndrangheta è ovunque, anche e sopratutto nel mercato delle arance e dei mandarini, retto da un oligopolio criminale, da un cartello di produttori legati a doppio filo con le mafie. Quella di Rosarno ma anche quella di Gioia, la signoria mafiosa dei Piromalli.
Una volta i latifondisti erano i baroni, oggi sono le cosche. Che stabiliscono tutto, anche la paga giornaliera dei migranti. La cifra normale per una giornata di lavoro è di 25 euro ma trattandosi di irregolari capita spesso che il caporale non paghi. Gli agrumeti sono ovunque, persino sugli alvei dei fiumi, riempiti apposta per strappare incentivi, per lucrare finanziamenti europei.
E alle 5 di mattina, ogni giorno, sulla via Nazionale, si radunano i migranti, suddivisi rigorosamente per gruppi etnici: i maghrebini, i rom, i bulgari, i rumeni, i subsahariani. Aspettano i caporali e gli autisti dei pulmini a cui spettano 2 euro per il viaggio, detratti dalla paga di ciascun migrante. Vanno a raccogliere arance nella piana, ma anche fragole nelle serre di Lamezia o cipolle nell’area di Tropea.
La loro vita è un calvario. Sfruttati dalle cosche e vittime di odio razziale da parte di bulli locali concretizzatosi in offese, insulti e veri e propri agguati. I bulli di Rosarno altro non sono che i figli e figliocci dei mafiosi. Si appostano lungo il Corso o nei pressi di via del Convento e lanciano pietre contro i malcapitati stranieri. Li inseguono per pestarli nei paraggi della Cartiera. O davanti alle fermate degli autobus.
E’ il loro «gioco» preferito. Ne vanno fieri. E’ l’iniziazione di una vita nel segno della violenza e dell’arbitrio. Alla fine del 2008, tre persone, successivamente arrestate e condannate, feriscono gravemente due cittadini ivoriani nei pressi della Cartiera scatenando una rivolta.
Oltre 500 stranieri di Rosarno scendono in piazza, si radunano in strada in una dimostrazione di forza e dignità che si protrae fino all’alba, di fronte alla polizia in tenuta anti-sommossa. Come a Castelvolturno, qualche mese prima.
Lo Stato assiste impotente e impassibile all’escalation di violenza razzista ai danni dei migranti. D’altronde lo Stato non c’è a Rosarno, messo in mora dalla tracotante potenza della’ndrangheta. La politica è complice e collusa tanto che il comune è stato commissariato nel 2008. E gli unici avamposti di una democrazia malata, e sotto scacco della criminalità, sono i Medici senza Frontiere, l’Osservatorio dei Migranti nella Piana di Gioia Tauro, la Casa del Popolo «Peppe Valarioti» e il sindacato.
Dopo la rivolta di Dicembre la vita è continuata normalmente- se di normalità si può parlare- a Rosarno.
La crisi delle arance, vendute ormai a soli sei centesimi al chilo, ha ristretto i giorni di lavoro e, poi, il clima inclemente e le gelate hanno fatto il resto. Il risultato: pochissimo denaro nelle tasche dei raccoglitori, nemmeno per mangiare. Il numero di immigrati stanziali nella Cartiera si è così progressivamente ridotto. E’ sceso da 2 mila a 300 nel breve volgere di mesi.
Fino a luglio quando un evento, non del tutto inatteso, fa precipitare la situazione. L’ennesimo raid razzista provoca un rogo che divampa in modo fulmineo nel capannone della Cartiera. Le forze dell’ordine non intervengono tempestivamente e lasciano che la struttura vada in fiamme. Alcuni migranti rimangono feriti. Tutti perdono i loro già pochi averi.
Il commissario prefettizio ordina lo sgombero della Cartiera «in nome del ripristino della legalità». Grottesco in una terra governata dall’illegalità. Il dramma dei migranti continua. Questo mentre gli operai iniziano a murare gli ingressi della Cartiera. Per il centinaio di africani presenti all’interno vengono allestite due sistemazioni di fortuna, all’addiaccio.
Il resto della comunità migrante della Piana si sparge in altre cattedrali dell’emarginazione. Come l’ex fabbrica abbandonata e senza tetto di Rosarno, soprannominata senza ironia la Rognetta. Come i casolari confiscati alla ‘ndrangheta nella cosiddetta Collina, nei pressi di Rizziconi.
Uno spiraglio di luce e di speranza, tuttavia, si affaccia all’orizzonte. Sono i «villaggi della solidarietà», dove accogliere i dannati di Rosarno.
E’ Tonino Perna, sociologo ed economista calabrese, ad illustrarci il progetto ancora in una fase embrionale. «L’idea in cantiere è quella di stringere accordi con i comuni della Piana, Rosarno e Gioia Tauro, entrambi commissariati, in modo da ricevere in comodato d’uso i terreni confiscati ai clan.
Terreni da bonificare e in cui far sorgere villaggi rurali fondati sull’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Non più ultima ruota del carro, sfruttati e aggrediti, bensì motore e nerbo dello sviluppo della zona».
All’intrapresa stanno lavorando la Rete antirazzista calabrese, i volontari dell’Osservatorio migranti della Piana, economisti, urbanisti e settori illuminati del mondo ecclesiale reggino.
Nel mentre, fuori dalla Cartiera, sui muri anneriti dal fumo dei roghi, continua a campeggiare, tragica, la scritta: “Life is war”. Una triste verità per un triste destino. Migrante.
ilmanifesto.it